Malattie tiroidee: qualche chiarimento sulla tiroidite di Hashimoto
È importante parlare di tiroide poiché è uno degli organi più importanti del nostro organismo, in grado di regolare processi metabolici tramite la produzione di ormoni fondamentali al funzionamento corretto di tutto gli organi. In Italia i disturbi legati alla tiroide, in particolare l’ipotiroidismo, sono molto frequenti: si parla di circa 6 milioni di cui circa 40mila ogni anno si sottopone a un intervento chirurgico alla tiroide. I dati degli ultimi anni mostrano un trend di crescita che, però, non deve allarmare poiché è giustificato dall’incoraggiante crescita dei controlli che vengono annualmente effettuati allo scopo di giungere a diagnosi precoci e terapie efficaci.
Una delle patologie più frequenti della tiroide, di cui è affetta circa una persona su 20 (a prevalenza femminile), è la tiroidite di Hashimoto. Quest’ultima è un’infiammazione cronica della tiroide generata dallo stesso sistema immunitario del paziente che ne è affetto e dunque è una patologia autoimmune nella quale è proprio il nostro organismo a ribellarsi contro sé stesso, in questo caso attaccando e distruggendo tessuti sani della ghiandola tiroidea, riconosciuti erroneamente come estranei.
Nella gran parte dei casi è possibile che la patologia venga riscontrata maggiormente in determinati soggetti:
- chi è già affetto da altre malattie autoimmuni
- chi abbia una familiarità clinica con patologie autoimmuni (genitori, zii, nonni e così via)
- chi consumi una quantità troppo elevata di iodio, ad esempio tramite l’assunzione di farmaci o di particolari alimenti (es. alghe) che ne siano ricchi
- chi viva, geograficamente parlando, in regioni in cui vi è un apporto di iodio ridotto.
La carenza/eccesso di iodio, come si può notare, è uno dei fattori da monitorare in quanto lo iodio risulta di fondamentale importanza per un corretto funzionamento tiroideo.
Cosa comporta la tiroidite di Hashimoto
All’insorgenza della patologia non comporta un immediato malfunzionamento della tiroide e anche i valori degli ormoni da essa prodotti, nelle fasi iniziali, risultano nella norma. A lungo andare, invece, la ghiandola inizia a deteriorarsi e con il suo danneggiamento anche gli ormoni prodotti iniziano progressivamente a ridursi. Il tessuto tiroideo, infatti, è composto da follicoli, simili a piccoli sacchetti, che contengono una sostanza visivamente simile alla colla, chiamata appunto colloide. Da quest’ultima le cellule tiroidee ricavano gli ormoni veri e propri (T3 e T4). Se, in un organo sano, il tessuto tiroideo appare vario ma equilibrato, nel caso di tiroidite le cellule si presentano come tutte piccole, uguali e distribuite in blocchetti compatti, con un’ingente presenza di globuli bianchi (linfociti). È in questo momento clinico che la tiroidite, iniziando ad avere problemi di produzione degli ormoni, diventa ipotiroidismo, ossia una patologia correlata all’insufficienza ormonale.
Diagnosi
Molte volte, proprio per la difficoltà di una diagnosi precoce, dovuta all’iniziale funzionamento “normale” dell’organo, il riscontro della malattia può avvenire in un secondo momento, ma non è raro, anzi piuttosto diffuso, che esso possa avvenire, invece, tramite l’attenta analisi del quadro clinico generale da parte di medici di base o da specialisti quali allergologi, ginecologi o reumatologi che affrontando altre patologie che possono correlare con la tiroidite prescrivano approfondimenti al soggetto. Dunque, solitamente, si arriva al passaggio della visita specialistica endocrinologica soltanto in ultima battuta per la diagnosi definitiva.
La tiroide di un paziente affetto da Hashimoto all’esame del collo si presenta come gonfia e di consistenza irregolare al tatto. Dopo questa prima evidenza, lo specialista prescriverà delle analisi più specifiche per il monitoraggio dei valori ormonali che indicano lo stato di attività tiroidea e la misurazione del valore anticorpale anti tireoglobulina (AbTG) e anti tireoperossidasi (AbTPO), che vengono prodotti dal sistema immunitario indebitamente, indicatori dell’insorgere della patologia.
Ulteriore strumento diagnostico è l’ecografia tiroidea che, nel caso della tiroidite di Hashimoto, mostrerà una tiroide infiammata e vascolarizzata più del dovuto.
Cura e precauzioni per le pazienti che affrontano una gravidanza
Per quanto concerne il trattamento della tiroidite di Hashimoto dobbiamo fare una prima macro-distinzione:
- la semplice osservazione del procedere della patologia, nei casi di eutiroidismo;
- la terapia ormonale sostitutiva, nei casi di ipotiroidismo.
In questo secondo caso, si procede con l’utilizzo di levotiroxina che altro non è che un analogo sintetico dell’ormone tiroxina prodotto naturalmente dalla tiroide sana. Somministrando tale farmaco in maniera costante e quotidiana vengono ristabiliti i livelli ormonali corretti prevenendo complicanze della patologia e risolvendone eventuali sintomatologie. Chiaramente in base al tipo di deficit si procederà con un dosaggio specifico che potrebbe necessitare di diverso tempo per essere calibrato e ottimizzato al meglio sulla singola persona. A tal proposito saranno prescritti controlli ematici periodici per monitorare l’andamento della terapia e la risposta del paziente. Al contrario di altre patologie autoimmuni, per la tiroidite di Hashimoto non si consiglia, talvolta anzi può rivelarsi addirittura dannosa, la terapia volta all’eliminazione del disordine autoimmune, come ad esempio il trattamento con cortisonici e farmaci immunosoppressori.
Non potendo purtroppo agire a monte, la terapia ormonale sostitutiva dovrà essere portata avanti in modo continuativo lungo tutto il corso della vita affinché i livelli ormonali restino sempre costanti, facendo attenzione a eventuali interferenze con la somministrazione di altri prodotti farmaceutici (quali multivitaminici o integratori, sempre meglio concordarli con il proprio medico curante) o di alcuni medicinali specifici di altre patologie (come ad esempio alcuni farmaci per la cura del reflusso, dell’ipercolesterolemie o dell’iperpotassiemia) che possono avere un effetto confliggente con la levotiroxina utilizzata nella terapia tiroidea.