Tumore all’ovaio: novità dalla ricerca
Sulla scia del mese rosa della prevenzione appena trascorso vorrei qui affrontare le ultime confortanti novità giunte dalla ricerca riguardo una tipologia di tumore molto subdolo soprattutto in fase diagnostica e sovente, proprio per questo, scoperto in fase avanzata (nel 60-70% dei casi): il tumore all’ovaio. La diagnosi tardiva del tumore ovarico è spiegabile in prima battuta per il fatto che è caratterizzato da una serie di sintomi aspecifici (dolore addominale, frequenza nella minzione, insorgenza di gonfiore addominale, senso di immediata sazietà anche con piccole quantità di cibo), i quali possono essere facilmente trascurati in quanto ricondotti ad altre plausibilissime cause quali lo stress, lo stile di vita disordinato e la cattiva alimentazione. Vista la sintomatologia generica, tali sintomi vanno presi in considerazione chiamando in causa il proprio ginecologo nel caso in cui non migliorino attuando i normali contro bilanciamenti del caso (come ad esempio una regolarizzazione del piano alimentare o l’attuazione di uno stile di vita più sano) e si presentino invece in modo ricorrente e/o per periodi di tempo prolungati. Fino a ora, insomma, non abbiamo avuto dalla nostra parte degli strumenti di prevenzione o dei test di screening precoce specifici.
Ed è qui, però, che arrivano le buone notizie. Sembrerebbe infatti che dalle più recenti ricerche pubblicate in merito giungano delle novità proprio circa delle nuove tipologie di screening che potrebbero fare la differenza nella diagnosi precoce della patologia, abbassandone così drasticamente anche il tasso di mortalità (molto elevato proprio in dipendenza del ritardo diagnostico che implica l’arrivo alle cure quando sono già presenti metastasi in altri organi). In particolare, vi parlerò di due progetti italiani: il primo è lo studio recentemente pubblicato sulla rivista Cancers[1] condotto dall’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano in collaborazione con l’Università Statale; mentre il secondo è la ricerca promossa dall’Istituto di Ricerche Farmacologiche ‘Mario Negri’ IRCCS di Milano, con l’Ospedale San Gerardo di Monza e l’Università di Milano-Bicocca (con il supporto della Fondazione Alessandra Bono Onlus) pubblicata l’estate scorsa sulla prestigiosa rivista scientifica Jama Network Open[2].
Partendo dalla ricerca pubblicata su Cancers, la svolta diagnostica potrebbe arrivare da un “naso elettronico”! Di cosa si tratta? In base a diverse sperimentazioni condotte precedentemente studiando i tumori della prostata si era scoperto che le cellule nel momento in cui da sane si trasformano in malate, cambiano odore tanto che l’olfatto canino si è rivelato in grado, annusando l’urina, di individuare la presenza di un carcinoma prostatico in fase iniziale. Il cambiamento, seppur minuscolo e irrilevabile senza appositi strumenti, è riscontrabile già in fasi precocissime e quindi, una volta rilevato sarebbe in grado di farci agire tempestivamente su quello che all’apparenza potrebbe sembrare un organo sano, ma che invece sta in nuce sviluppando la malattia. L’indagine, durata ben 13 mesi, ha coinvolto 251 donne di cui alcune con carcinoma ovarico, altre con diagnosi di masse benigne e altre ancora totalmente sane (gruppo di controllo). Esse sono state sottoposte a un test del respiro effettuato al mattino a digiuno espirando profondamente e lentamente in un boccaglio per inglobare anche il respiro alveolare, ossia quella parte del respiro espulsa dall’interno dei polmoni e delle vie aeree inferiori, nelle quali avviene lo scambio con il sangue. Nelle porzioni di respiro raccolte è stata individuata dal “naso elettronico”, chiamato e-nose, la presenza di sostante volatili organiche che marcano la presenza di una mutazione, distinguendo così quali fossero quelle malate. Francesco Raspagliesi, direttore dell’Unità di Oncologia Ginecologica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e primo autore dello studio, ha a tal proposito affermato: «La presenza del tumore determina modificazioni di tutta una serie di processi metabolici, a cui segue il rilascio di sostanze volatili organiche. Sono in pratica tracce della presenza della malattia contenute nel respiro sotto forma di molecole volatili. Il naso elettronico ha permesso di cogliere la presenza di alcune di queste sostanze nel respiro delle donne con cancro ovarico, che vengono così identificate rispetto ai controlli sani. Questi risultati sembrano indicare una linea di ricerca assai promettente per una futura possibile diagnosi precoce di questi tumori e ci spingono a proseguire con ulteriori studi. […] L’obiettivo è trovare un nuovo test efficace, che abbia una sensibilità significativa e un’alta specificità, il più possibile vicino al 100%, e queste potrebbero essere le caratteristiche del naso elettronico. Stiamo mettendo a punto un nuovo studio con un e-nose più sofisticato. Ora che conosciamo l’esistenza di tracce della malattia nel respiro, dobbiamo identificare l’esatta natura dei composti volatili, che possono costituire dei marcatori utili per la diagnosi precoce di questa neoplasia»[3].
Il secondo studio, invece, si è focalizzata su un esame già ben noto e molto comune, che potrebbe però rivelarsi utile anche per la diagnosi precoce di tumore ovarico: il Pap test. Esso consiste, come tutte le donne sanno bene, nel prelievo di cellule dal collo dell’utero e dal canale cervicale. Da questi campioni, come emerge dalla ricerca, tramite l’impiego di nuove tecnologie di sequenziamento del DNA, potrebbe essere rintracciato anche il tumore ovarico. L’ipotesi di base dello studio è consistita nel fatto che all’interno della tuba di Falloppio (in cui nascono la maggior numero di carcinomi sierosi di alto grado dell’ovaio) possono staccarsi, sin dalle primissime fasi del tumore, delle cellule maligne che, una volta raggiunto il collo dell’utero, possono essere prelevate con un semplice Pap test. Nelle fasi di trasformazione tumorale, infatti, le cellule contengono nel loro DNA delle specifiche mutazioni della proteina Tp53, che una volta alterata, porterà alle fasi successive della cellula tumorale maligna. Sebbene lo studio sia stato condotto su un numero esiguo di casi, i dati raccolti e pubblicati sul Jama Network Open ci lasciano ben sperare soprattutto per il fatto di aver dimostrato che la presenza di DNA tumorale «la presenza di DNA tumorale, che deriva dal carcinoma ovarico, in PAP test prelevati in pazienti affette da tumore ovarico anni prima della diagnosi di carcinoma dell'ovaio. Questo ci indica che già 6 anni prima le analisi molecolari messe a punto oggi avrebbero potuto consentire teoricamente di diagnosticare il tumore. Credo che l'applicazione di questo test possa salvare moltissime vite umane»[4], secondo quanto afferma Maurizio D’Incalci, direttore del Dipartimento di Oncologia dell’Istituto Mario Negri e a capo della ricerca. Il fatto che fossero disponibili, in diversi casi, PAP test eseguiti dalla paziente 6 e 4 anni prima ha reso evidente, dunque, la presenza della stessa mutazione clonale della proteina p53 che si ritrova nel tumore rafforzando l’ipotesi che alla base dello sviluppo della malattia ci siano alterazioni molecolari specifiche.
In Italia, secondo i dati 2019, è stato diagnosticato un carcinoma ovarico a 5.300 donne e in caso di diagnosi tardiva (la più frequente), meno del 40% è viva a 5 anni dalla diagnosi (tenete conto che per il tumore al seno siamo all’80%). Ecco perché entrambi gli studi che ho qui illustrato mi sembrano davvero dei validi e incoraggianti passi in avanti della ricerca per battere sul tempo una malattia ancora così insidiosa e subdola che è la sesta causa di morte per tumore tra le donne.